La testimonianza di una donna, che deve ricordare, elaborare, esporre in maniera comprensibile a chi la sta ascoltando la violenza subita, è sempre difficile. È una prova complicata, rivivere i momenti, minuti/ore/giorni/anni senza poter dire basta, smettiamo non ce la faccio ad andare avanti.
Cosa possono essere state allora 7 ore per una ragazza e 5 per l’altra? Vogliamo dire una tortura?
Non è un termine eccessivo, 7 ore di aula di tribunale per rivivere quello che si è passato SONO una tortura psicologica. La domanda che sorge spontanea è come sia possibile che questo sia permesso ed accettato dalla nostra procedura penale. Lo stato non dovrebbe tutelare la donna che denuncia?
Questo è ciò che è successo alle due studentesse americane che a inizio settembre hanno denunciato due Carabinieri per violenza sessuale, a Firenze. (http://www.ansa.it/toscana/notizie/2017/11/22/cc-firenze-gip-sente-studentesse-usa_1f691b4f-f8fd-40e6-a4fa-f3ef6ad6485f.html).
L’avvocato difensore di uno dei due Carabinieri si dichiara soddisfatto anche se il giudice non ha accolto 1/3 delle 260 domande proposte: 170 domande solo da parte di uno dei difensori.
È vero che siamo uno stato garantista e quindi non si può condannare a priori l’imputato, ma è credibile che siano necessarie 170 domande?
No, non solo non é credibile, ma indigna che questa ulteriore forma di violenza sia consentita dal codice giuridico dello stato italiano.
Ecco, dobbiamo tutti indignarci: lo Stato, le Istituzioni e i suoi rappresentanti proprio in questi giorni si stanno vantando di quanto lavoro sia stato fatto per affrontare la violenza di genere e certamente tanto è stato fatto. Ma tanto è ancora da fare! Proprio partendo dall’esperienza “processo”, che è diretta responsabilità dello Stato, appunto. Non solo le tempistiche, nota dolente e riconosciuta; le modalità del processo sono di per sé un’ennesima sofferenza per la donna coraggiosa che denuncia!
Testimoniare con il fiato del tuo aggressore sul collo…. Vogliamo immedesimarci?
E ora questa notizia: 12 ore per un incidente probatorio non sono accettabili da una società che si definisce civile.
Protesto vivamente, come donna, come socia di me.dea, come cittadina di questo Paese.
Cristina Cardone
socia me.dea